Utilizzo dei droni: l’ENAC emana il regolamento

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Dal 30 aprile 2014 è in vigore il regolamento che disciplina l’uso dei robot alati nel nostro Paese, messo a punto dall’Ente nazionale dell’aviazione civile (Enac). Prima, era in vigore il Codice della navigazione, secondo cui poteva svolgere lavoro aereo soltanto chi possedeva una licenza di tipo aeronautico e la stragrande maggioranza degli operatori non ne è in possesso.

Requisiti

Il drone va certificato

La colonna portante del regolamento è che per lavorare con i droni serve una certificazione. Di fatto, un professionista che impiega un robot alato deve dimostrare di non improvvisare un’attività dall’oggi al domani. A seconda del peso cambiano però i requisiti.

L’Enac ha individuato lo spartiacque dei 25 chili. Al di sopra di questa soglia, si pensa che i droni siano soprattutto prodotti industriali. Al di sotto, invece, si ritiene che si possa trattare di un pezzo unico, magari costruito artigianalmente dalla stessa persona che poi lo impiega.

Per i droni sopra i 25 chili è Enac a rilasciare l’autorizzazione a produrre in serie e poi a operare. Il mezzo deve avere un manuale di volo e uno delle operazioni, deve essere stato sperimentato, deve avere alle spalle un’organizzazione strutturata.

Più semplice la trafila sotto i 25 chili: l’operatore si autocertifica, in pratica, attesta di possedere i requisiti richiesti.

I droni non dovrebbero cadervi in testa

Per scongiurare situazioni pericolose, il regolamento distingue tra operazioni non critiche e operazioni critiche.

Con le prime s’intendono voli in aree disabitate o su campi agricoli, dove non c’è rischio per cose o persone e comunque a non più di 70 metri d’altezza e 200 metri di raggio.

Le seconde sono invece svolte su zone affollate, come piazze, concerti, stadi, a un raggio massimo di 500 metri e tra i 70 e i 150 metri di altezza: oltre si entra nel regno degli aeroplani, quelli veri. Per queste attività, anche se il drone pesa meno di 25 chili, non basta l’autocertificazione: è l’Enac a dare luce verde.

Vietato volare, in ogni caso, durante le ore notturne.

Il profilo del pilota

Pilotare non è un gioco da ragazzi e infatti per guidare un drone bisogna avere minimo 18 anni e attestare di conoscere le regole dell’aria (un attestato di volo civile o sportivo è sufficiente, ma stanno nascendo diverse scuole apposite).

Non sono queste la regole a destare perplessità: occorre dimostrare di aver condotto un addestramento per lo specifico drone che poi condurrà.

Piloti liberi professionisti, il vostro sogno resterà nel cassetto, a meno che non certifichiate il vostro drone, che diventerà parte dei vostri servizi offerti.

Serve, inoltre, un certificato medico di tipo aeronautico: di fatto, una persona con una lieve disabilità è esclusa dal business.

Scatta l’obbligo di assicurare il velivolo

Molti operatori affermano di aver già assicurato il drone e pretendono che la polizza continui a essere valida. Doccia fredda: “Dovranno ristipulare la polizza sulla base del regolamento”, sostiene l’Enac. Il che vuol dire che le polizze che non esigono la documentazione della certificazione dovranno essere ritrattate soprattutto per il fatto che sinora le compagnie non hanno assicurato i droni per lavoro aereo, chiedendo quindi un costo molto più basso.

Il “buchi” del regolamento

I veri dubbi su questa norma aleggiano attorno a quattro temi.

  1. Primo, le dimensioni di Enac. L’ente non è mastodontico e ha pure vissuto da poco un drastico taglio del personale. Riuscirà a processare la valanga di richieste di autorizzazione che arriveranno nei prossimi giorni? La soluzione potrebbe essere delegare l’autorità a società di consulenza ma al momento nessuno s’è fatto avanti e tutto resta accentrato nella sede di via Castro Pretorio a Roma.
  2. Secondo, dove sono i centri di sperimentazione? Uno dei pochi requisiti chiari del regolamento è che il drone, per avere luce verde, deve aver fatto dei test. Tutto bene, ma dove? Campi di volo ne esistono a bizzeffe, ma mancano strutture appositamente dedicate: Enac sta lavorando per aprirne una Grottaglie, in Puglia, e alcune realtà come quella dell’aeroporto di Capannori, a Lucca, stanno cercando di ottenere la qualifica. A oggi, però, tutto è deserto.
  3. Terzo, le scuole per piloti. Dal punto di vista teorico non ci sono problemi: basta farsi un corso di volo convenzionale e si dormono sonni tranquilli. È con la pratica che sorgono i problemi: il pilota si deve formare su un modello specifico di drone. Come se ci fosse una patente per la Fiat e una diversa per l’Alfa Romeo. Quindi o il costruttore, al momento dell’acquisto, offre un corso di formazione o devono nascere scuole apposite che forniscano ai praticanti il modello su cui allenarsi.
  4. È però il quarto il più importante. Il regolamento è come una bella stanza senza mobili: incompleto. Nel testo mancano i dettagli sui requisiti che le aziende devono fornire per essere certificate: in cosa consiste il manuale di volo? E il manuale delle operazioni? Quali obblighi di sicurezza deve avere il drone? Tutti dettagli contenuti in alcuni documenti, le cosiddette circolari attuative, che Enac pubblicherà sul suo sito. Ma i documenti sono lungi dall’essere definitivi: produttori, associazioni di categoria, operatori potranno far arrivare all’ente le loro osservazioni e rimostranze.

Nel dettaglio, gli artigiani del drone e le imprese più piccole temono che le circolari impongano requisiti talmente stringenti da costringerli a chiudere bottega. Con l’entrata in vigore del regolamento non finisce la battaglia normativa, che è di fatto appena entrata nella sua fase più calda.

Via: Wired.it

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